La lezione di Obama: un approccio scientifico e sistematico alle campagne elettorali (selmade.it)

Un libro importante, scritto con linguaggio semplice ma approfondito allo stesso tempo. “La lezione di Obama”, edito da Baldini e Castoldi, scritto da Stefano Lucchini e Raffaello Matarazzo è stato presentato ieri alla Camera dai deputati con Sergio Boccadutri (Sel) e Paolo Coppola (Pd), alla presenza di Matarazzo e del professor D’Alimonte, autore di una preziosa postfazione al libro.

Si tratta di un viaggio nella campagna elettorale della riconferma di Obama, quella del 2012: una vittoria che è stata ben più sofferta della galoppata trionfante del 2008, quella di “Yes we can” e “Change”, in cui la “maggioranza di minoranze”, ben descritta da quel “neri, bianchi, asiatici, nativi americani, gay, etero, disabili e non disabili” scandito dal palco di Chicago la sera memorabile del 4 novembre 2008 era chiamata a prendere le redini della più grande potenza del mondo.
L’America del 2012 è un Paese indebolito dalla crisi, in cui la disoccupazione ha superato il 6%, soglia di guardia oltre la quale solo Reagan è riuscito a strappare la riconferma alla Casa Bianca. La Presidenza Obama arriva all’appuntamento indebolita dalla guerra ideologica scatenata dai Tea Party e dai Repubblicani più intransigenti contro l’Obamacare, la sua riforma sanitaria che ha introdotto elementi importanti di welfare state.
Non aiutarono il Presidente l’attentato a Bengasi dell’11 settembre 2012 in cui perse la vita l’ambasciatore Stevens e lo scivolone del primo dibattito di Denver, dove un Obama impacciato veniva incalzato da colpi “altezza uomo” di un combattivo Mitt Romney.
E’ a questo punto che scende in campo la più potente macchina elettorale della storia. La campagna democratica del 2012 è stata vincente grazie a un fattore decisivo: lo studio e l’incrocio dei dati reali con quelli dei social-network, che ha consentito la costruzione di messaggi perfettamente mirati alle diverse condizioni sociali e culturali dei cittadini americani.
Non si è trattato di un lavoro solo virtuale: anche il “door to door” è stato perfezionato dal micro-targeting.
Un lavoro immenso, in cui un ruolo centrale è stato ricoperto da Jeremy Bird, giovane campaign strategist che dopo il 2008 decise di non seguire lo staff a Washington D.C. ma confinarsi in un ufficio di Chicago per incrociare i dati delle persone in carne ed ossa con quelli dei social media, in modo da scoprirne gusti, attitudini, passioni e condizioni materiali. Un lavoro di “data-mining” dalle proporzioni inedite.
Nel dibattito di ieri, Sergio Boccadutri, tesoriere di Sel, dopo aver citato il digital-divide come problema tutto italiano che esclude il 40% delle famiglie dall’accesso al web e rende l’Italia un Paese ancora largamente tv-dipendente, ha ricordato come il fiume di denaro privato utilizzato per l’ultima campagna elettorale sia dovuto alla sentenza “Citizens united”, che ha eliminato qualunque limite al finanziamento privato dei superPACs (Poll action committes). Obama, il migliore raccoglitore di piccole donazioni della storia, si è così dovuto così arrendere ai grandi finanziatori, che per lui arrivano soprattutto dal mondo hi-tech. Tuttavia, il dibattito sul sistema di finanziamento della politica negli Usa è tutt’altro che chiuso, tanto che proprio Obama di recente ha osservato che “non ci sono molte democrazie compiute che funzionano in questo modo”.
Paolo Coppola, deputato del Pd e docente di informatica ha sottolineato come in Italia il mondo dei social network sia ampiamente sottovalutato nel mondo politico.
Raffaello Matarazzo ha ricordato come l’ultima campagna elettorale presidenziale sia stata la più ricca del mondo, e come oltreoceano sia avvertito fortemente il rischio che i superPACs (Poll action committes) sostituiscano i partiti politici.
Ha ricordato inoltre come la campagna di Obama si sia svolta in larga parte lontano e oltre i tradizionali circoli del Partito democratico.
Infine si è soffermato sulla situazione europea, dove i social media non sono ancora così diffusi. Basti pensare che Angela Merkel, la cancelliera più votata dai tempi di Adenauer non possiede alcun profilo Twitter.
Il prof. D’Alimonte si è soffermato a lungo sulla difficile “coabitazione” tra il Presidente democratico e il Congresso a maggioranza repubblicana. Una situazione in cui il compromesso e gli accordi bipartisan sono resi ancor più difficili dal carattere intransigente della maggioranza dei Congressmen repubblicani.
Secondo D’Alimonte le primarie, in particolare repubblicane, nei collegi uninominali, spesso disegnati con il sistema del “jerrymandering” si vincono grazie ai teaparty e al voto integralista religioso. C’è quindi una differenza notevole tra il modo in cui le primarie sono vissute in Italia e negli Stati Uniti. In Italia, con qualche eccezione negativa, sono state quasi sempre momento di apertura e discussione sui programmi, negli Stati Uniti, dove la partecipazione è molto bassa, sono frequentate soprattutto da attivisti, da “minoranze intense”, che fanno prevalere opzioni radicali, che poi impediscono il compromesso a Capitol Hill.
Quello che ci insegna questo libro è la necessità, per chiunque voglia cimentarsi con il consenso, è che non si può prescindere dalle nuove tecnologie e le immense potenzialità che racchiudono.

Flavio Arzarello