L’importanza di essere un ex (e di fare rete) (Panorama Economy)

In Bocconi Pietro Guindani, classe 1958, si è laureato nel 1982, con una tesi di finanza internazionale, sotto la guida di Claudio Demattè, “un maestro” ricorda “nelle discipline aziendali”. Ma di quei formidabili anni in Bocconi, Guindani, oggi presidente di Vodafone Italia, ricorda soprattutto le lezioni di Mario Monti. “Un docente molto popolare” dice “per la sua esemplare capacità di spiegare, con grande linearità, problematiche molto complesse: Monti per la macroeconomia, Demattè per l’area aziendale, sono stati per noi maestri indimenticabili”. E in quel “noi” Guindani comprende, tra gli altri, compagni di corso che hanno fatto molta strada: Vittorio Grilli, l’attuale direttore generale del Tesoro, o Claudio Costamagna, bocconiano dell’anno 2004. Ma bando ai ricordi. Tra le doti di un bocconiano figura la capacità di guardare avanti, nella consapevolezza che il mondo d’oggi richiede quel continuous learning a cui si richiama Unthinkables, titolo della due giorni di studio del 18-19 giugno che vedrà, davanti a una platea di centinaia di ex bocconiani, testimonial di primo piano. Un evento che, tra l’altro, segna l’esordio di Guindani, eletto nel marzo scorso presidente della Bocconi Alumni Association, in cui sono confluite a fine anno la Asda, l’associazione degli ex alunni della Sda, e l’Amsda, l’associazione degli alumni master della Sda. Un’alleanza che ha un obiettivo ambizioso e, in un certo senso, molto bocconiano: creare una comunità che esprima valore a vantaggio dell’università, degli studenti e, non ultimo, per gli ex dell’ateneo. Come del resto accade nelle grandi università americane o inglesi (ma anche in Francia e in Spagna), dove le associazioni degli ex da tempo svolgono un ruolo attivo al servizio degli atenei. Un programma, tiene a precisare Guindani, che è lo sbocco naturale del lavoro svolto negli ultimi anni da chi l’ha preceduto, a partire da Claudio Costamagna.

Le radici, insomma, ci sono già. Ma quali sono le radici, vedi i valori condivisi, che possono accumunare i bocconiani?
Direi l’adesione a un sistema di valori di impresa che si riflettono nelle scelte di gestione, nella valutazione del rischio e, soprattutto, nella coscienza che l’azienda deve creare valore. La Bocconi, attraverso i suoi maestri, ci ha insegnato a essere attori nella società, in ruoli di responsabilità, con la missione di essere motori di crescita in grado di valorizzare i talenti.

Ma aiuta il fatto di essere ex bocconiani? C’è un vantaggio relazionale?
Il vero vantaggio si può avere solo creando una comunità che abbia valore. Innanzitutto per gli studenti. Gli alumni possono trasferire la loro esperienza nella fase di preparazione della didattica, così come in quella di orientamento professionale. Poi c’è il contributo che può essere dato allo sviluppo dell’università. Gli ex alunni possono dare indicazioni di carattere strategico, offrendo la loro esperienza su dove va il mondo, a partire dalle esigenze della società. Ma possono anche incanalare la ricerca e lo sviluppo delle aziende verso la collaborazione con l’ateneo. Gli alumni possono essere testimoni di cultura bocconiana nella società e, al contrario, partecipare con i docenti al dibattito sulle scelte future dell’attività.

Potremmo dire che, tra le altre cose, si tratta di favorire la promozione di un brand. O no?
Sì. Anche perché è un brand che racchiude un grande valore, anche a livello internazionale. Basta scorrere l’elenco dei bocconiani dell’anno per avere una misura del peso di questa comunità. Per limitarci agli ultimi anni abbiamo Enrico Cucchiani, che fa parte del board di Allianz, Alberto Cribiore di Citicorp e l’economista Nouriel Roubini. Come le altre grandi università internazionali, dedichiamo un’attenzione particolare alla creazione del senso di appartenenza, che va tenuto vivo nel corso del tempo. In questi mesi abbiamo ospitato le esperienze, in un’ottica di formazione continua, di leadership di Donatella Treu (Sole 24 Ore), Stefano Beraldo (Coin) o dell’a.d. di Atlantia Castellucci.

Sulla base della sua esperienza di manager, che cosa non dà allo studente la formazione in Bocconi?
L’ateneo insegna a fare le cose. Ma da solo. Invece in azienda è sempre più importante saper fare le cose assieme. O, non di meno, saper far fare le cose agli altri. Ecco, in questo campo l’esperienza aziendale agevola una sorta di formazione soft, sul campo, che è altrettanto preziosa delle basi hard, che l’università sa fissare molto bene. E’ opportuno rafforzare il processo formativo con esperienze di squadra, che torneranno molto utili in azienda. Tra gli obiettivi di medio-lungo termine della nostra associazione figura senz’altro il sostegno allo studio, con un occhio particolare allo sviluppo delle competenze con una dimensione manageriale: il lavoro di squadra, l’arte di comunicare e le tematiche della leadership.

Insomma, il vecchio club degli ex allievi appartiene al passato…
Diciamo che c’è stata un’evoluzione avviata dal Duemila in poi, in cui è emersa la consapevolezza delle potenzialità insite in questa comunità. Ma, ben s’intende, nella cornice di una tradizione di cui siamo fieri.

Ugo Bertone