Sbagliare? Più facile che comunicare (Il Sole 24 Ore)

Comunicare come si comunica è un ossimoro degno del dilemma «può la mente studiare se stessa con la psicologia?». Per comunicare come si comunica è obbligatorio dimenticare ogni astrattezza, raccontare esempi pratici, pensare di parlare a chi non sa nulla dell’argomento. Niente di più facile, niente di più difficile (Lupetti editore), volume scritto da Stefano Lucchini e Gianni Di Giovanni, Public Affairs and Communication-Senior Executive Vice President e Senior Vice President External Communication dell’Eni, vuole essere il primo manuale (pratico) per la comunicazione 2.0. Il libro sarà presentato a Milano domani alle 10 e 30 allo Iulm dal vicedirettore del Sole 24 Ore, Alessandro Plateroti, con Di Giovanni, il pro rettore Alberto Abruzzese e Nello Barile, sociologo della Comunicazione. Com’è cambiata la comunicazione d’azienda? «Il web non ha introdotto nel vecchio sistema un nuovo concorrente. Ha creato un nuovo sistema». Parole santissime. La reputazione è tutto e, come ricorda Moisés Naím nella prefazione, «secondo una ricerca dell’Oxford Metrica, una società di consulenza inglese, venti anni fa e in media ogni cinque anni, la probabilità che un dirigente dovesse affrontare un incidente tale da mettere a rischio il proprio brand erano del 20 per cento. Oggi, la probabilità di un tale disastro aziendale è dell’82 per cento». La metafora migliore, lo ha sottolineato anche il giovane esperto di marketing Michele Boroni sul Foglio di ieri, è quella dell’acqua. Infatti c’è l’acqua con un enorme bicchiere sulla copertina del libro che spiega come non annegare. Ma la metafora vale pure per spiegare la differenza nella comunicazione tra prima e dopo il www. Prima si comunicava come su un strada, in linea retta: dall’azienda al giornalista al lettore, ai cittadini. Ora la comunicazione è un mare (chiedere a BP per credere). Nel senso che la rete, lo dice la parola, è l’opposto di una linea. Per questo un colosso come l’Eni, che certo ha solide basi da piattaforma petrolifera salda in mezzo al mare, ha rinnovato il modo di comunicare non dando allo strumento – radio, tv, carta, web – il diritto di decidere il contenuto, ma invertendo l’ordine dei fattori: io azienda decido i miei valori, poi li diffondo con ogni mezzo. Innovazione, energia più pulita, senso di responsabilità proprio di un campione nazionale, e mecenatismo (i giovani artisti sparsi per il mondo lanciati con l’aiuto del cane a sei zampe non si contano), prontezza nella risposta nelle fasi critiche (vedi il caso Eni/Nigeria). Certo, facile comunicare se si è l’Eni, si potrebbe dire. Sbagliato, l’informazione al tempo della rete è “‘na livella” e non perdona (chiedere a BP per credere). Sono i grandi che si devono rinnovare, con i cartoni animati nella campagna pubblicitaria, il cane a sei zampe in mostra (davvero bella) e un simbolo di azienda italiana che ti fa sentire a casa sul sito di Foreign Policy, tenendo fermo un principio etico perché economico (e viceversa): «Il comunicatore non deve mai perdere di vista uno dei principi di fondo che regolano il suo agire: i suoi interessi professionali e quelli dell’azienda si difendono sempre dicendo la verità, ed eventualmente prendendo tempo, ma mai mentendo».

Daniele Bellasio