Crisi economica o morale? (Il Mondo)

Una crisi economica? No. Innanzitutto una crisi etica, civile, di relazioni politiche, che si ripercuote sull’economia ma dai processi dell’economia globale è fortemente segnata, in un gioco di interrelazioni assolutamente inedito. Una vera e propria rivoluzione di paradigmi interpretativi della realtà e di schemi di azione. Andare alla radice della crisi contemporanea, dunque, significa legare economia e altre scienze umane. E fare severamente i conti con i bisogni più profondi di un’umanità in movimento. Valore economico. E valori morali. Partono da qui le valutazioni che spingono tre grandi economisti, Joseph E. Stiglitz, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi, a mettere in discussione la retorica della crescita quantitativa e a ragionare sulla qualità dello sviluppo. L’occasione è il lavoro della commissione voluta dal presidente francese Nicolas Sarkozy, per individuare un altro indicatore economico, al di là del Pil. E i risultati stanno in un fondamentale Rapporto, pubblicato adesso in Italia da Etas, con il titolo La misura sbagliata delle nostre vite. Perchè il Pil non basta più per valutare benessere e progresso sociale. La ricchezza, negli anni, è aumentata. Ma moltissime persone sono convinte di vivere peggio. E hanno ragione. Perchè non basta quell’aumento, se raggiunto a discapito dell’ambiente, del tempo di lavoro, della sicurezza, della solidità delle relazioni sociali, delle speranze di un avvenire migliore, soprattutto dei giovani. Trovare, dunque, un nuovo indice di sostenibilità dello sviluppo economico, pensare a un Pil verde, significa ripensare modelli di produzione, di consumo, di scambio. Sfida morale e culturale, appunto. E politica. Non ha senso, infatti, come ricorda Piero Bevilacqua ne Il grande saccheggio, chiedersi “quando arriverà la ripresa” dopo la Grande crisi, visto che non di congiuntura negativa si tratta, ma di “un capitalismo entrato in un’epoca di distruttività radicale”, a danno delle strutture della società, “cannibalizzando gli strumenti della democrazia, desetrificando il senso della vita”. Per evitare visioni apocalittiche, bisogna ripensare politica ed economia, sostituendo all’ossessione della crescitain tempi brevi la ricerca di nuovi equilibri, di lavoro e di partecipazione, sensa comprimere qualità della vita e diritti, negli Usa e in Europa, ma anche in altre aree del mondo attualmente in crescita, ma comunque minacciate dalle distrorsioni di fondo della fase economica. Su percorsi analoghi si muove Roberto Vacca, in Salvare il prossimo decennio, affrontando “vecchie paure e nuove complessità”. I nodi tornano alle relazioni economiche, contro la finanziarizzazione esarperata, la ricchezza illusoria costruita sul debito. È necessario costruire altri equilibri. E altri racconti. Anche la comunicazione ne è coinvolta. Come testimoniano due dei migliori comunicatori italiani, Stefano Lucchini e Gianni Di Giovanni, in Niente di più facile, niente di più difficile. Perchè il loro non è solo un componente ed esauriente manuale di comunicazione. Ma è soprattutto un altro libro morale. Le aziende protagoniste di un indispensabile cambiamento devono saper dire ai loro pubblici, dai consumatori ai dipendenti, dalle istituzioni agli attori sociali, come si stanno muovendo in un mondo mutante. E come riconquistare quel patrimonio indispensabile per l’economia che è la fiducia, scossa dalla crisi, ma da ricostruire, sapendo progettare un migliore futuro.