…La Grande Mela si veste nel bianco e nero d’autore (la Padania)

“Con le prime luci del mattino apparvero all’orizzonte i grattacieli di Wall Street; pensai a Babilonia ed a certi modelli in gesso di ricostruzioni archeologiche che una volta vidi in Germania, in un museo (…). Strano come nella città di New York mi sembrava di essere morto e rinato in un altro pianeta. Quelle costruzioni lisce e monotone, dalle cui superfici nulla sporgeva, non un balcone, non il capitello d’una colonna, non un cornicione, non un pezzo d’ornato, non un’asta, non un chiodo, mi procuravano un senso di grande sgomento. Pensavo con nostalgia al calore ed all’umanità dello stile barocco, dello stile secondo Impero, e persino dello stile umbertino e di quello liberty”. Così Giorgio De Chirico schizzava una prima impressione d’insieme sul paesaggio urbano della Grande Mela in Memorie della mia vita. Al grande pittore la visione dà un senso di stordimento, di straniamento. Ben diversa la sensazione di autentica, inebriante vertigine descritta ne Il grande Gatsby da Francis Scott Fitzgerald: “Con la coda dell’occhio, Gatsby vedeva che gli edifici sui marciapiedi costituivano una vera e propria scala e salivano a un luogo segreto al disopra degli alberi: poteva arrampicarvisi e, se lo faceva da solo, una volta in cima avrebbe potuto succhiare la linfa della vita, trangugiare il latte incomparabile della meraviglia”. New York è la città in assoluto più celebre e celebrata nell’immaginario collettivo dal XX secolo in avanti: a tutti sembra in fondo di conoscerla, anche a chi non ci ha mai messo piede. Ora un’occasione particolare per scoprire il fascino d’antan della metropoli per eccellenza della Modernità è offerta dal volume New York. Born back into the Past (edizione in italiano e inglese Alinari 24 Ore, dalla collezione di Stefano e Silvia Lucchini, testi di Geminello Alvi e Gianni Riotta). Una carrellata di immagini d’autore in bianco e nero, corredate di brevi testi e inserti esplicativi, che rende al meglio lo spirito di una città, come scrive lo stesso Stefano Lucchini – responsabile delle Relazioni Istituzionali e Comunicazione dell’Eni – “evanescente e intrigante, aperta a riflessioni di speranza, meta finale di milioni di fuggitivi”. I grattacieli, i quartieri, le stazioni ferroviarie, il Central Park, Broadway, i ponti, le chiese, i palazzi pubblici e naturalmente la folla. “La poesia di New York – scrive un altro dei giganti dell’arte contemporanea, Salvador Dalì, in City of Light – non è quella di un funzionale edificio di cemento che raschia il cielo; la poesia di New York è quella di un gigantesco organo dalle molte canne di avorio rosso – che non raschia il cielo, risuona in esso con l’estensione delle sistole e delle diastole del cantico viscerale di biologia elementare…”. Mentre per Henry James (Piazza Washington), il “modo di vivere a New York” è “traslocare ogni tre o quattro anni. La città cresce troppo in fretta e allora si fa così: si va sempre più su, come fa New York”.

Roberto Brusadelli