Il mestiere di farsi ascoltare (Tempi)
Niente guru né stregoni, per comunicare serve una professionalità definitiva. Il manuale di Stefano Lucchini e Gianni Di Giovanni.
Sostituzione estiva in una grande azienda, settore comunicazione finanziaria. Appena si presenta il giovane laureato di belle speranze viene dotato di un cercapersone e un sacchetto di gettoni telefonici. “Non ci crederete, ma si trattava dei ferri del mestiere di un comunicatore, meno di due decenni fa. Se chiamava un giornalista o accadeva qualcosa in azienda, il centralino avvisava il reperibile di turno attraverso il beeper. L’addetto stampa, con i suoi gettoni, contattava poi chi di dovere a seconda delle necessità. In quegli anni, da un punto di vista puramente tecnologico, lavorare in un ufficio stampa rappresentava una vera e propria “guardia al bidone”: niente internet né cellulari, al massimo fax e pony express che si aggiravano per le redazioni portando fisicamente i comunicati”.
È un manuale pratico per la comunicazione infarcito di memorie e casi di vita professionale, quello da poco dato alle stampe da Stefano Lucchini e Gianni Di Giovanni, dal 2005 fianco a fianco nel top della comunicazione e delle relazioni esterne di Eni. In queste pagine (Niente di più facile, niente di più difficile; Lupetti Editore, 171 pagine, 15 euro) spiegano il loro mestiere agli aspiranti comunicatori, ai giornalisti, al pubblico curioso di sapere cosa significhi rappresentare una grande azienda, gestirne la reputazione e l’identità, durante la routine e nei momenti di crisi. Già perché coloro che hanno interesse in queste tematiche (“stakeholder” li chiama il lessico che – ahinoi – ama infarcire l’italiano di termini inglesi) sono i più vari: clienti, stampa, azionisti, fornitori. Ciascuna di queste categorie di soggetti nutre un interesse specifico e diverso nei confronti di un’azienda e a ciascuno i professionisti della comunicazione del marchio devono dedicare una strategia mirata.
È quello che accade nel dicembre del 2006 quando Eni informa che otto guerriglieri armati si sono introdotti nella stazione di Brass, nel Delta del Niger, hanno iniziato un conflitto a fuoco in cui un lavoratore è rimasto ferito e quattro (di cui tre italiani) sono stati rapiti. Il comitato di crisi gestisce la situazione optando per un low profile a livello comunicativo che non comprometta la situazione degli ostaggi pur fornendo aggiornamenti costanti. La vicenda si conclude con la liberazione, in due momenti diversi, dei quattro ostaggi.
L’equilibrio difficile
Il rapporto con la stampa riesce a mantenere l’equilibrio tra la sacrosanta volontà dei giornalisti di informare, l’esigenza di riservatezza della Farnesina per procedere alla liberazione degli ostaggi, la volontà di Eni di non compromettere la propria reputazione. Al unto che quando una troupe delle Iene indaga la vicenda, produce un servizio assolutamente privo di quelle insinuazioni o false ricostruzioni che una comunicazione poco trasparente avrebbe potuto generare. I casi di studio di comunicazione aziendale sono corredati da brevi riflessioni teoriche che attingono ai grandi teorici della materia, da McLuhan in avanti. Significativo, anche se appena accennato, il passaggio sulla comunicazione politica. Significativo poiché in Italia, dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, le regole del racconto e del discorso politico si sono sovvertite, prendendo a prestito (anche dalla comunicazione aziendale) argomenti, stratagemmi e rotture degli schemi fino ad allora sconosciuti. Almeno alla politica.
Laura Borselli