Il Moro di Milano (Prima Comunicazione)

Cambia strategia la comunicazione della Ferruzzi-Montedison: riflettori puntati non più sul wrestling dei leader, ma sul gruppo. Marco Fortis. Speaker e maestro d’immagine di Foro Buonaparte, spiega la nuova politica dei “materiali avanzati” di cui Il Moro è un testimonial-test La penultima settimana di marzo sui quotidiani italiani e sui più importanti quotidiani statunitensi, francesi e inglesi è apparsa una campagna pubblicitaria, firmata  J. W. Thompson, che, nella versione italiana diceva: “Montedison ha già vinto la chimica’s cup”. A una ventina di giorni dall’inizio delle regate per le semifinali, quando non si sapeva ancora se il Moro sarebbe riuscito a qualificarsi, Montedison lancia la sua campagna istituzionale per il ‘92 in cui si presenta come “leader mondiale dei materiali avanzati” quei materiali che sono serviti, appunto, per costruire Il Moro di Venezia. Per rafforzare il messaggio della campagna, mercoledì 25 marzo, la direzione delle relazioni esterne del gruppo Ferruzzi-Montedison organizza un incontro sul tema “I nuovi materiali tra cultura e industria”, al quale partecipano Italo Trapasso, presidente della Montecatini (la holding che concentra le attività chimiche della Ferruzzi-Montedison); Nadio Delai, direttore generale del Censis, e Marco Fortis, direttore delle relazioni esterne del gruppo. L’obiettivo è spiegare ai numerosi giornalisti presenti il valore industriale del sistema Tencara (il cantiere e le aziende che hanno collaborato alla costruzione del Moro) e l’importanza nelle strategie della Montecatini dei “materiali avanzati”, che non sono come ha titolato comicamente l’Ansa materiali residui, avanzi, cioè, ma materiali d’avanguardia realizzati con prodotti chimici (poliolefinici, fluoropolimeri, ecc.) che oggi rappresentano il 37% del fatturato della Montecatini e che nel Duemila dovrebbero arrivare al 50%. La campagna “Moro materiali avanzati” riporta Montedison a investire in pubblicità dopo due anni di silenzio. Due anni che, dopo la sconfitta nella battaglia per il controllo di Enimont, hanno visto una severa ristrutturazione in tutte le aziende del gruppo e una mutazione della politica di comunicazione. Uscito di scena un grande mattatore come Gardini, finita l’epoca delle esternazioni virulente che non corrispondono allo stile riservato di Arturo Ferruzzi e tanto meno ai gusti di Giuseppe Garofano, presidente di Montedison, oggi si lavora sulla immagine del gruppo invece che su quella dei suoi proprietari o manager. È uno stile nuovo per la Montedison che dai tempi di Cefis è sempre andata in proscenio più per i vizi, le virtù o i colpi di mano dei suoi presidenti che per la sua realtà industriale. Marco Fortis, direttore delle relazioni esterne, è l’interprete dei questa nuova politica di immagine che spiega in questa intervista. Domanda – Lei è professore di teoria e politica dello sviluppo economico all’Università Cattolica di Milano. Cosa c’entra questa sua attività con le relazioni esterne di un grande gruppo come Montedison? Risposta – Sono due attività che porto avanti parallelamente. Occuparsi della comunicazione e degli studi economici in un grande gruppo industriale e tecnologico come Ferruzzi-Montedison consente di arricchire continuamente le mie conoscenze di studioso e viceversa. In ogni caso sono entrato in Ferruzzi nell’86 come direttore dell’ufficio studi, un ufficio studi strettamente legato alla nostra necessità di comunicare verso l’esterno, secondo un’idea molto cara a Carlo Sama. Pubblicizzare temi sull’agro-alimentare e sulla chimica dei materiali è più complicato che parlare di industrie di prodotti finiti. Inserito nella struttura delle relazioni esterne, l’ufficio studi lavora come pensatoio per rendere comprensibili per gli stessi dirigenti del gruppo, per i giornalisti, i politici, e a volte anche gli accademici, informazioni molto specialistiche. Lo stesso avviene qui in Montedison. D – Ma perché mai un non addetto ai lavori dovrebbe essere interessato ai “materiali avanzati” che voi promozionate nella campagna di pubblicità? R – I materiali avanzati non sono fantascienza. Fanno parte, anche se non lo sappiamo, della nostra quotidianità: le automobili, ad esempio, sono fatte in gran parte di questi nuovi materiali. Tutti i paraurti e i cruscotti delle migliori automobili del mondo sono fatti di materiali di origine chimica studiati e prodotti da Montedison. D – Lei è sicuro che a un automobilista medio interessa sapere che i manicotti del vano motore sono realizzati con polimeri ed elastomeri fluorurati, come leggo in un rapporto del vostro ufficio studi? R – Un’opinione pubblica ben informata influisce positivamente sul sistema industriale che utilizza nuovi materiali. È importante far sapere che “nuovi materiali” non vuol dire la solita plastica, che i “nuovi materiali” garantiscono molti vantaggi anche dal punto di vista ambientale. D – Si capisce che le meraviglie tecnologiche del Moro di Venezia colpiscono l’immaginario collettivo e il vostro maxi yacht mi sembra uno straordinario “testimonial”. Ma immagino che l’obiettivo della produzione di materiali avanzati non siano i tifosi delle regate ma le industrie manifatturiere. R – Certo. La Montecatini per promuovere l’informazione sui nuovi materiali sta realizzando un centro internazionale di elaborazione e comunicazione sui nuovi materiali a disposizione delle industrie. Soprattutto quelle medie e piccole dell’elettrodomestico, della componentistica, dell’arredamento possono trovare con i tecnici della Montecatini nuove soluzioni per i loro problemi produttivi. Il centro sarà a disposizione anche delle università e dei media. D – Nei confronti dei giornalisti avete un approccio molto didattico. R – Non didattico…direi di servizio. D – Quante persone lavorano nell’ufficio studi? R – Otto. Alcune hanno competenze specifiche,altre sono più generaliste: seguono, ad esempio, la congiuntura economica mondiale o i problemi dell’ambiente. L’ufficio studi, dove sono assistito alla direzione da Mario Panzeri e Pia Marconi, lavora in stretto contatto con le strutture dell’azienda, per cui produciamo relazioni, interventi e con la segreteria dell’ufficio stampa, che smista le richieste informative che riceve dai giornalisti.. D – E l’ufficio stampa cosa fa? Cerca di stoppare le notizie che non vi piacciono? R – Non mi sembra che si possa accusare il nostro ufficio stampa di aggressività o di comportamenti scorretti. Siamo tutti a disposizione per chiarire tutto quello che c’è da chiarire. Molto spesso ci chiedono conferma di notizie che, come è di moda dire adesso, sono delle patacche. Meglio ridimensionarle subito che dover fare la smentita il giorno dopo. Non sa le volte che è girata la notizia che avremmo venduto Himont o le aziende del settore agroalimentare! D – Montedison è un gruppo che per anni ha fatto i fuochi d’artificio, e anche il gruppo Ferruzzi, gestione Gardini, non ha scherzato. I giornalisti, abituati a vederne di tutti i colori, sanno che non ci sono limiti alla fantasia degli imprenditori italiani. R – C’è stato un periodo in cui le cose era difficile raccontarle perché il gruppo era in turbolenta evoluzione. Adesso siamo entrati in una nuova fase, sintetizzabile nella frase “più industria meno finanza”, che ci permette di far meglio il nostro lavoro. Inoltre un azionista stabile consente una comunicazione più chiara. D – Quando Gigi Barone (ex braccio destro del ministro Gianni De Michelis alle Partecipazioni statali) è entrato alla Montedison come assistente di Garofano, molti giornalisti hanno pensato che il presidente della Montedison si fosse organizzato un proprio ufficio stampa ombra. R – Sciocchezze. Chi conosce quali rapporti culturali e di amicizia legano non solo me ma anche Franco Cerabolini con l’ing. Garofano non può che ridere di questa situazione. E mi sembra che si faccia un torto anche a Barone che come assistente del presidente ha incarichi impegnativi e segue lo sviluppo di attività di lobbyng soprattutto all’estero. D – Come è strutturata la sua direzione? R – Ci lavorano circa cinquanta persone. Franco Cerabolini è vice direttore. A Parigi, che è lo snodo internazionale del gruppo e dove abbiamo un grosso ufficio, responsabile è Carlo Tarsia. A Roma le relazioni  istituzionali sono nelle mani di Marcello Portesi, che ha lavorato molti anni alla Farmitalia-Carlo Erba e da due anni e mezzo si è spostato alla holding. Anna Maria Padula, che viene dalla squadra Ferruzzi, è responsabile della pubblicità e delle pubbliche relazioni. Aldo Li Castri è a capo delle relazioni imprenditoriali. L’ufficio stampa è formato da cinque addetti di cui due giornalisti. Con Franco Cerabolini lavorano i due vice Gerardo Orsini e Stefano Lucchini. Infine Laura Riganti è la mia assistente a tutto campo. D – La sponsorizzazione da parte del gruppo Ferruzzi della retrospettiva su Toulouse-Lautrec organizzata al Grand Palais a Parigi ha ottenuto un forte ritorno di immagine in Francia e in Italia. Siete grandi mecenati all’estero però, appena entrati alla Montedison, avete fatto fuori tutte le iniziative culturali varate con la gestione Schimberni. Come il “Progetto Cultura”, ad esempio. R – Non è vero che abbiamo azzerato l’impegno del gruppo sul fronte culturale. Abbiamo cambiato completamente l’approccio, questo si, e per i motivi che adesso le spiego. Ai tempi di Schimberni la politica di comunicazione nei confronti di del mondo scientifico, oltre a un valore intrinseco, aveva un valore di immagine immediato. In un momento molto travagliato della sua storia il gruppo doveva presentarsi non solo come protagonista di scalate, di scontri nell’ambito del mondo finanziario italiano, ma anche come una società che perseguiva una stabilità con il mondo culturale e scientifico. All’epoca di Schimberni questa politica nei confronti della comunità accademica e dei mass media servì come elemento di rassicurazione. Necessità che viene meno con l’arrivo di un azionista stabile come Ferruzzi. Non abbiamo azzerato il budget dedicato a questo tipo di iniziative, semplicemente non le abbiamo più enfatizzate, anche perché non è detto che un docente universitario apprezzi un’iniziativa soprattutto se viene sbandierata con evidenti obiettivi di immagine per l’azienda. La famiglia Ferruzzi tre anni fa ha deciso di lanciare la prima borsa di studi europea cui possono avere accesso laureati della Comunità. Intitolata a Serafino Ferruzzi, questa borsa ha raggiunto un livello di notorietà presso la London School of Economics. l’Harward e la Stanford University, paragonabile alle grandi borse della Banca d’Italia, dell’Eni o del Banco San Paolo. La borsa, di cui sono segretario, rientra nel budget delle relazioni esterne.Inoltre, stiamo per lanciare una rivista di economia di alto livello, con ben tre Nobel nel suo comitato scientifico. D – Che budget di spesa ha la sua  sezione? R – In tutto una ventina di miliardi l’anno. Tra l’altro, sempre a proposito del ruolo culturale della Montedison, c’è la recente costituzione del Centro di ricerche ambientali della Montecatini che funzionerà in collaborazione con il Comune di Ravenna e l’università di Bologna.Presso questo centro lavoreranno, facendo formazione pratica, i laureandi in scienze ambientali. Si tratta di un investimento di una decina di miliardi per un Centro di ricerche che sarà uno dei più importanti d’Italia. D – Tutto questo impegno della Ferruzzi e della Montedison sulle problematiche ambientali è una foglia di fico per nascondere le vergogne inquinanti delle industrie chimiche del gruppo? O il tentativo di lanciare nuovi prodotti tipo il famoso etanolo? R – Montecatini, dopo essere uscita dalla chimica di base per concentrarsi nella chimica a più alto valore aggiunto, non può essere indicata tra le società a rischio ecologico. Non abbiamo bisogno di quelle che lei chiama foglie di fico. Quello che ci interessa è portare avanti delle operazioni di sviluppo industriale e tecnologico, come nel campo delle poliolefine e dei materiali avanzati. D – Perché allora tanta enfatizzazione sui temi ecologici? R – Non strizziamo l’occhio ai Verdi, se è questo che lei intende. Quello che ci interessa è portare avanti delle politiche industriali come nel caso di Novamont con la “chimica vivente”. E cioè usare materie prime agricole per ottenere prodotti – come il Diesel-Bi, il carburante vegetale – che sostituiscano quelli finora derivati da materie prime di origine fossile. Il gruppo Ferruzzi-Montedison ha le materie agricole, la capacità di trasformarle e la tecnologia della chimica. Il progetto Novamont è di impiegare le conoscenze e le risorse di questi due mondi. D – Mi dica la verità. L’orologio di plastica biodegradabile che avete regalato un po’ di anni fa ai lettori del Messaggero aveva come obiettivo una autopromozione rivolta a un pubblico di gonzi? R – Chiariamo subito che non esiste la plastica biodegradabile. L’orologio del Messaggero era fatto di Mater-Bi, un materiale composto per oltre il 60% da amidi naturali e derivati, e per il restante 40% da plastificanti. Mater-Bi, un prodotto di nicchia, utilizzato per produrre particolari materiali come imballaggi, penne, prodotti paramedici e per applicazioni scientifiche, è biodegradabile. Certo non basta mettere l’orologio sotto terra per una settimana per vederlo sciogliere. Nemmeno un libro si scioglie come un gelato. D – Il rapporto tra gruppo Ferruzzi-Montedison e i giornali di vostra proprietà è sempre stato problematico. Il disastro di Italia Oggi, le difficoltà del Messaggero non hanno contribuito a dare lustro al gruppo in questo settore. R – Italia Oggi è stata un’esperienza negativa e non abbiamo avuto problemi ad ammetterlo. Non capisco invece questo accanimento di Prima contro Il Messaggero. Ma non voglio entrare nella polemica. Il giornale romano è importante per il gruppo come altre sue aziende strategiche e ha fatto molti progressi da quando Ferruzzi è entrato nella proprietà. D – Fino a due anni fa Carlo Sama è stato responsabile delle relazioni esterne del gruppo Ferruzzi-Montedison e presidente dell’editrice romana. Non era necessario essere dietrologi per vedere un intreccio di ruoli e interessi. R – Le assicuro che non ci sono sovrapposizioni tra il lavoro di questa  direzione e quello del Messaggero. Alessandra Ravetta