Il vero e buon comunicatore? Sempre in sintonia con la società (Nazione - Carlino - Giorno)
La comunicazione è una delle discipline umane in più rapido mutamento. L’introduzione delle nuove tecnologie dell’informazione, da internet al web 2.0, ha costretto gli operatori dei media e gli uomini delle imprese deputati alle relazioni esterne a ripensare la loro professione, a darsi nuovi registri e perfino valori. Se la parola sulla carta stampata viveva e vive di regole pressoché immutabili e di tempi di produzione certi, scanditi dai riti quotidiani delle redazioni, la comunicazione globale sul web ha dilatato sia la produzione della notizia, sia la sua fruibilità. Oggi leggiamo on ine sui siti dei quotidiani ciò che domattina leggeremo sul foglio di un giornale; dunque, le notizie stampate sono di per sé già “vecchie”, perché la carta rincorre la rete.
Nel frattempo, anche la televisione è cambiata. Le tecnologie digitali e la televisione via satellite hanno moltiplicato le possibilità di produzione e di canalizzazione dei programmi, e lo schermo casalingo, da video salottiero, si è trasformato in uno strumento multiuso, al quale agganciare computer, playstation e così via.
Comunicazione e informazione sono cambiate e chi ne è il produttore – editori, giornalisti, uomini della comunicazione d’impresa – sono alle prese ogni giorno con duplici sfide: arrivare al pubblico, trovare spazi di ospitalità delle notizie, farsi ascoltare.
Perchè paradossalmente, la moltiplicazione delle occasioni di fruizione dell’informazione ha finito per creare un’inflazione delle stessa: siamo annegati da fondi di notizie e da milioni di stimoli informativi. Nelle stazioni, sui mezzi pubblici, al cinema, per strada, display e video rimbalzano la realtà di tutto il mondo in tempo reale. Realtà che gli iPad e iPod ci garantiscono nelle nostre stesse tasche, dandoci la possibilità di essere sempre cablati col mondo.
Questa seconda rivoluzione dell’informazione (la prima è stata indubitabilmente la televisione) ha trasformato soprattutto i comunicatori d’impresa, in professionisti culturalmente polivalenti, sempre più alle prese con sfide quotidiane per farsi ascoltare dai produttori d’informazione. Un lavoro che Gianni Di Giovanni e Stefano Lucchini nel loro libro definiscono nel titolo “Niente di più facile, niente di più difficile” (Fausto Lupetti Editore), sintetizzando il succo della missione di comunicatore oggi ad uso dei tanti giovani che frequentano le accademie della comunicazione. Entrambi manager all’Eni, con solide e multiformi esperienze internazionali in grandi gruppi delle telecomunicazioni, hanno voluto trasferire in un agile saggio il sapere e l’esperienza di decenni di “informazione sul campo”, ottimo sussidiario per tutti coloro che ambiscono ad entrare nell’ormai multidisciplinare mondo delle relazioni pubbliche.
Lucchini, ha lavorato tra Washington e New York come responsabile della comunicazione, mentre nello stesso periodo Di Giovanni er direttore delle relazioni esterne di Stet International, girando il mondo tra Sud America, Europa dell’Est, India e Cina. Dal 2005 lavorano fianco a fianco in Eni dove sono rispettivamente Public Affairs and Communication Senior Executive Vice President e Senior Vice President External Communication.
“La comunicazione è un processo dinamico, circolare, interattivo, in cui le scelte o i feedback di un soggetto si riverberano sugli altri … questo significa che il buon comunicatore è soprattutto un professionista in perenne osmosi con la società, sensibile ai minimi cambiamenti: in altre parole un’antenna capace di captare segnali, anche deboli, che arrivano dalla società”.
L’epoca del comunicatore considerato una specie di stregone capace di manipolare le coscienze, insomma, è finita. Non è più il tempo di persuasori occulti ma di tecnicalità, competenza specifica ed esperienza. E rispecchiarsi nell’esperienza dei due autori, che anche attraverso esempi concreti ridisegnano il paradigma della comunicazione, può essere molto utile per chi si affaccia da neofita al mondo della comunicazione d’impresa.
Gerardo Filiberto Dasi