La comunicazione? “Niente di più facile, niente di più difficile” (Il Giornale)
Un buon libro s’intuisce dal titolo, che può essere intrigante, spiritoso, sincero. Quello di Gianni Di Giovanni e Stefano Lucchini riesce a sintetizzare in appena otto parole il mistero della comunicazione: “Niente di più facile, niente di più difficile” (Fausto Lupetti editore, pagine 174, euro 15). Ovvero a rappresentare un’arte decisiva nell’era dell’informazione 14 ore su 24, eppure eterea, impalpabile, che i profani talvolta relativizzano, salvo poi scoprire quanto sia complessa, non appena confrontati con i fatti che li riguardano. Di Giovanni e Lucchini vantano un eccellente pedigree professionale (attualmente ricoprono incarichi al vertice della comunicazione dell’Eni), eppure in questo volume danno prova di umiltà. Il loro, infatti, non è un saggio, ma un manuale, che si rivolge non tanto ai colleghi già affermati, nè agli studiosi accademici, quanto a chi vuole capire cosa sia e come si pratichi la comunicazione all’interno di una grande azienda. In un Paese come l’Italia, animato da cittadini tendenzialmente prolissi e da specialisti che prediligono l’approccio teorico a quello fattuale, i due autori propongono un testo che ha nella chiarezza e nell’esempilificazione le sue principali virtù. Lo leggi e capisci. Se sei uno studente tentato da questo percorso professionale il libro ti mette nelle condizioni di valutare cosa ti attenda. Se, invece, sei un imprenditore che deve avvalersi di un servizio professionale, puoi da un lato giudicare la qualità del lavoro che ti viene offerto, dall’altro capire che comunicare non significa “vendere fumo”. Insomma, oltre 170 pagine ricche di considerazioni concrete. Anche nei confronti del giornalismo. Di Giovanni e Lucchini sfatano la credenza secondo cui essere comunicatore significhi essere un po’ anche gioralista. È vero il contrario. Si tratta di due ruoli separati, che rispondono a esigenze professionali e a criteri etici differenti. Scrivere un comunicato stampa non è come redigere un articolo, parlare in pubblico per conto di un’azienda non è come leggere un servizio radiofonico o televisivo. Gli autori ritengono, piuttosto, che chi fa il comunicatore debba conoscere bene le tecniche e le logiche dei giornalisti, al fine di porre il messaggio nel modo appropriato. Sembra un’ovvietà, eppure lavorando in redazione ci si rende conto di come siano davvero pochi gli esperti del ramo in grado di catturare l’attenzione di un reporter. E questo tra l’altro spiega perchè il networking e le relazioni (o le pressioni) personali finiscano per essere tanto diffuse in Italia; insidia a cui peraltro gli autori oppongono una visione alta della professione. Il loro non è un libro di denuncia, ma nemmeno compiacente nei confronti delle possibili devianze. Comunicare è una missione, da adempiere con efficacia e correttezza.
Marcello Foa