La lezione di Obama e il taccuino di Renzi. Appunti di comunicazione politica (Ago Press)

Un saggio di Stefano Lucchini e Raffaello Matarazzo svela alcune regole per vincere le elezioni. Grazie a social media e Big Data. A distinguerli, nell’abbigliamento, solo la cravatta. Azzurra per Obama, rossa per Renzi. Per il resto, l’abito blu e la giacca a due bottoni, la camminata disinvolta, i sorrisi, gli abbracci. Tutto come previsto, chiosano gli analisti che, dall’ingresso di Matteo Renzi sulla scena nazionale, lo hanno indicato come il migliore comunicatore tra i politici italiani. Yes, we ce la possiamo fare “Yes we can vale anche per noi. Lui non è solo il presidente degli Stati Uniti ma una fonte di ispirazione”, ha spiegato il premier in occasione delle recente visita di Mister President a Roma. E non si riferiva solo alla politica. Tutta la comunicazione di Renzi è costruita sul modello a stelle e strisce. In salsa italiana, ovviamente. E lui, il Supertuscan, non sembra voler nascondere che sì, insomma, a lezione da Obama ci è andato. Eccome. Ma qual è questo modello che cambiato le regole del marketing elettorale? L’analisi è quella che ritroviamo nelle pagine del saggio La lezione di Obama, come vincere le elezioni nell’era della politica 2.0 (128 pagine, Baldini&Castoldi, € 14,90) scritto da Stefano Lucchini, attuale direttore delle Relazioni Esterne e Internazionali di Eni e docente all’Alta scuola di giornalismo della Cattolica di Milano, e da Raffaello Matarazzo, analista di Politica Internazionale e docente di Politiche Comparate all’Università St John’s di New York e di Studi Strategici all’Università di Perugia. Il libro passa in rassegna le elezioni 2008, che saranno ricordate per l’utilizzo massivo dei social media, e la campagna 2012, quella dei dati personali e del microtargeting. «Nel 2008 Obama vince le elezioni perché intercetta il bisogno di cambiamento e di speranza di un Paese stanco di guerre, pieno di debiti e spaventato dalla crisi dell’economia – scrive nella prefazione Mario Calabresi, direttore de La Stampa - Quattro anni dopo la vittoria è arrivata grazie alla macchina elettorale più tecnologica e capillare mai vista. Siamo nel secolo delle tecnologie, ma anche dell’insieme delle narrative, delle storie capaci di accendere il motore degli individui e delle comunità». Già, l’engagement, obiettivo primario da raggiungere attraverso i social media.  A coinvolgere gli utenti, la campagna “Obama for America”, con la richiesta di iscriversi attraverso Facebook al sito dedicato, per potere raccogliere i dati personali dei sostenitori. La logica è: se un invito a partecipare a un evento politico viene da un amico, è molto più efficace che se proviene da un anonimo comitato elettorale. E’ un sistema che consentì la creazione del più dettagliato e potente database della storia delle campagne elettorali, coinvolgendo oltre cento tra matematici, statistici, blogger ed internauti. Il tutto porterà alla campagna perfetta: la più alta percentuale ottenuta da un candidato presidenziale negli ultimi 20 anni con il 53% del voto popolare e 27 Stati vinti. Ma anche il primo presidente afro-americano della storia. Tuttavia è nel 2012 che il sistema giungerà alla sua piena maturazione. La bestia fu il soprannome scelto per il quartier generale di Chicago delle elezioni 2012 di Obama, sia per le dimensioni che per le potenzialità tecnologiche.  Nel cervellone “Vote Builder”, vennero incorporati un concentrato di informazioni essenziali come età, indirizzo, occupazione e storia elettorale di 190 milioni di elettori. Il sistema ha incrociato questi dati con quelli raccolti dai sostenitori del presidente durante la campagna del 2008, integrandoli con le informazioni provenienti dai profili di 24 milioni di fan Facebook del presidente. Tra i protagonisti di questa campagna senza precedenti c’è Jeremy Bird, trent’anni, uno dei guru meno conosciuti della campagna Obama del 2008, che iniziò a mettere ordine in una colossale mole di dati raccolti. «Un genio del ground game – rivelano le pagine del volume - il lavoro di persuasione e mobilitazione diretta casa per casa, elettore per elettore, incrociando dati sui consumatori, e attraverso nuove tecnologie come le app per tablet e smartphone, dalla tv via cavo. Una strategia di micro-targeting, che consente di arrivare a stabilire gli orientamenti individuali». L’organizzazione politica si sposta anni luce avanti, arrivando a veicolare i messaggi propagandistici sulla base delle caratteristiche sociali, economiche e culturali di ogni individuo e famiglia con cui si vuole entrare in contatto. Un lavoro che poteva andare disperso, sottolineano Lucchini e Matarazzo, se al momento opportuno non fosse giunto a bussare alla porta un volontario in carne e ossa disposto ad ascoltare anche le istanze dell’elettore. Le regole di una buona campagna elettorale E allora, quali sono le grandi lezioni di comunicazione della campagna elettorale americana 2012? Darrell M. West direttore degli studi di governance della Brookings Institution ne ha indicate dieci. Le trovate nelle pagine del libro. In questa sede, due considerazioni su tutte. La prima, che l’analisi vince sull’intuizione. I candidati hanno realizzato diversi tipi di messaggi per il web, ma piuttosto che valutare in via generica quelli più efficaci, hanno utilizzato modelli matematici per valutare quali venivano visti e apprezzati tramite gli share e i like di Facebook. La seconda riguarda Twitter, che rende più trasparenti i candidati e il confronto più democratico. Durante le convention nazionali, il servizio di microblogging è diventato il cuore del confronto dal vivo. Il discorso di Obama di accettazione della candidatura ha scatenato 52.756 tweet al minuto. Non è più necessario, dunque, attendere i commentatori professionisti per valutare l’impatto dei discorsi o il risultato dei dibattiti: Twitter consente a chiunque di valutare le reazioni dei cittadini in tempo reale. Come sottolineato da Joe Rospars, capo della strategia digitale della campagna Obama, l’obiettivo era una tecnologia che incoraggiasse gli elettori a sentirsi coinvolti. A maggio 2012, ad esempio, Obama diventava il primo presidente ad invitare studenti e cittadini a creare un hashtag su Twitter: #DontDoubleMyRate, per fare pressione sui membri del Congresso contro l’aumento delle tasse universitarie. «Mitizzare i social media sarebbe tuttavia un grave errore – avvertono gli autori del volume – Quando il messaggio da essi veicolato risulta poco efficace o penetrante, l’effetto moltiplicatore si trasforma in una clamoroso boomerang. Non solo, dunque, il candidato deve essere particolarmente carismatico, ma anche i contenuti, vanno scelti con grande oculatezza». Il comportamento politico degli utenti di social media mostra infatti come questi strumenti vegano usati per manifestare le proprie idee politiche, promuovere proposte ed iniziative, seguire i candidati e incoraggiare altri a votare e commentare questioni di attualità. Ascoltare umori, raccogliere le opinioni della rete, quantificare la popolarità, comprendere le emozioni – tutta materia per la sentiment analysis – unita alla capacità di Obama di identificarsi con la gente comune, lo ha portato per due volte alla vittoria. Un modello da imitare. La strada è ormai aperta: è questo il terreno comunicativo sul quale giocare ogni competizione elettorale.