L’uomo che voleva creare dal niente un’industria petrolifera (Milano Finanza)

Cinquanta anni fa proprio in questi giorni Enrico Mattei, il fondatore di Eni, moriva precipitando con l’aereo che lo riportava a Milano dall’ennesimo viaggio. Era il 27 ottobre e l’Eni perdeva il suo capo, l’uomo che in meno di dieci anni aveva cambiato le sorti energetiche dell’Italia. L’uomo che si era messo in testa di creare dal niente un’industria petrolifera, in un Paese in cui la mancanza di risorse aveva condizionato e impedito un vero decollo industriale. L’uomo che con coraggio e passione aveva fatto di una causa nazionale una causa personale. Negli anni del dopoguerra, in un Italia sconfitta e distrutta, sono molti gli uomini che si mettono a disposizione del Paese per consentirgli di ripartire. Sono stati forse gli anni migliori di un’Italia che era compatta e guardava con fiducia e ottimismo al futuro. Un’Italia che poteva contare solo sulla qualità degli italiani perchè niente, dopo cinque anni di guerra, era rimasto in piedi. Ponti, strade, case, ferrovie ma anche l’economia e l’occupazione erano stati spazzati via. In una situazione di vera emergenza ecco che una collettiva voglia di riscatto motiva il Paese e lo fa ripartire. Ci sono stati uomini che più di altri hanno dato una spinta al cambiamento. Questi uomini si sono trovati a ricoprire incarichi anche molto diversi ma è interessante vedere come molti tratti li rendano simili e come ognuno di loro abbia portato innovazione e sviluppo nel proprio settore. Qualche giorno fa a questo proposito la Rai, a cui va il merito come servizio pubblico di dedicare attenzioni a esempi positivi, come aveva fatto già qualche anno fa e ripeterà con Enrico Mattei, ha dedicato una fiction a un altro grande personaggio del dopoguerra, il commissario Mario Nardone, un altro uomo che ha dato un contributo notevole alla nuova Italia che stava rinascendo dalle macerie della guerra. Pochi anni di differenza rispetto a Mattei, ma stessa capacità di mettere fantasia e ingegno al servizio di un progetto che “gli altri” non vedevano. Ecco, io credo che dobbiamo ringraziare uomini come questi se l’Italia è riuscita a rimettersi in piedi e oggi è tra le grandi potenze mondiali. È vero, anche quelli che viviamo sono anni difficili e questa volta non sono sufficienti l’impegno e la voglia di riscatto.  Ma non ci dobbiamo mai scordare che le persone sono la vera ricchezza di questo Paese ed è sulle persone, e in particolare sui giovani, che dobbiamo sempre puntare e investire. Enrico Mattei è stato uno di quegli uomini che, come si direbbe, “si è fatto da solo”. Primo di cinque figli, una famiglia povera con un padre sottoufficiale dei carabinieri, poca passione per la scuola, tante idee in testa. I primi anni di vita scorrono veloci in un piacevolissimo paesino delle Marche, una terra povera, poverissima, dove l’economia si basa sull’agricoltura. Mattei è un ragazzino vivace, troppo per avere buoni risultati scolastici. Il padre, scoraggiato dal rendimento, lo manda a lavorare in una conceria, esperienza che porterà Mattei a contatto con il mondo del lavoro. Bastano pochi anni per passare dal ruolo di semplice garzone a quello di direttore tecnico. Mattei ha grinta, qualità che contraddistingue tutti gli uomini che nel dopoguerra hanno avuto un ruolo. Quella speciale forma di energia anima la voglia di riscatto. È con questa grinta che Mattei, neanche trentenne, decide, all’affacciarsi della Grande Crisi del 1930, di andare a cercare fortuna a Milano. Arriva e in breve tempo mette in piedi una propria attivitò. È bravo a organizzare le persone e bravissimo a motivarle. Ma scoppia la guerra e l’impresa avviata con successo è costretta a chiudere. Mattei entra nelle fila partigiane. All’inizio da semplice combattente ma in breve tempo diventa capo partigiano. La sua guerra la fa organizzando, trovando finanziamenti, spostando le persone. Un ruolo chiave che gli verrà riconosciuto alla fine delle ostilità: accanto a Cadorna, Parri, Argenton, Longo, Enrico Mattei sfila nella Milano liberata e distrutta. In quell’Italia della seconda metà degli anni Quaranta la prima cosa che appare necessaria è la ricostruzione. Enrico Mattei viene chiamato ad occuparsi di energia. In realtà a liquidare e vendere al miglior offerente, una vecchia azienda di Stato, l’Agip, che era ormai un peso morto e per la quale gli americani mostravano un certo interesse. Mattei intuisce che l’energia è uno degli asset strategici di un Paese, senza il quale un Paese può essere messo facilmente in ginocchio, ricattato e piegato. Mattei lo intuisce e alle prime offerte di acquisto oppone un secco rifiuto, prendendo tempo che gli servirà a convincere gli uomini di governo a sostenere la sua idea. Intanto mette a lavoro in Pianura Padana i tecnici dell’Agip. Ripartono le perforazioni che erano state fermate con lo scoppio della guerra e arrivano i primi risultati: poco petrolio ma tanto metano. Nel 1953, alla nascita di Eni, l’Italia faceva il suo ingresso tra le nazioni che potevano contare su una propria industria petrolifera. Di lì a qualche anno, la piccola Eni sarà in grado di conquistare il suo spazio, ottenendo concessioni di ricerca nei Paesi più interessanti da un punto di vista estrattivo. Non solo: Mattei inventerà anche un nuovo contratto, passato alla storia come “formula Mattei”, che darà una nuova coscienza e nuova forza contrattuale ai Paesi produttori. Enrico Mattei costruisce un team di giovani e giovanissimi a cui affida ruoli chiave dell’azienda. Ragazzi di trent’anni lo aiutano a gestire la politica energetica del paese. Vanno negli Stati Uniti, imparano, tornano in Italia e ripartono. A volte l’Egitto, a volte l’Iran, a volte la Libia, o l’Algeria o la Tunisia o la Patagonia. Per fare in modo che tutti siano in grado di inseguire insieme a lui l’obiettivo fissato, investe sulla formazione. Scuole interne, corsi, viaggi all’estero e soprattutto la condivisione delle esperienze. I contratti con la Russia, i rapporti con la Cina, la ricerca del petrolio ovunque si pensa ci possa essere, il tentativo di dare una risposta all’atavica crisi del Sud sono temi che portano Enrico Mattei a muoversi su un terreno minato. Il 27 ottobre del 1962, rientrando da una visita ai campi metaniferi di Gagliano, in Sicilia, l’aereo su cui viaggia in compagnia di un giornalista, precipita a poco più di un minuto dall’atterraggio a Linate. Stefano Lucchini