New York, un amarcord struggente (Il Messaggero)
Foto di uno sconosciuto fotoamatore nell’insolito libro omaggio di Lucchini
New York è vertigine. Di anima o materia cancella ogni confine. Elettrizzante e soave, romantica e violenta, magica e minacciosa, fragile e frenetica, vive di antitesi da cui trae godimento e impensabile forza. È illimitata. In senso orizzontale, le sue Avenue non concedono alla vista un inizio o una fine, sono trasposizioni urbane dell’infinito. Un senso verticale, i suoi grattacieli sono promesse celesti fatte di pietra, vetri, acciaio “simili a cime di nuvole bianche al di sopra degli uragani” (Dos Passos). New York non è una città: è una moltitudine di città. Unica e molteplice. Fin dall’inizio, ben prima che la Terra diventasse un multietnico Villaggio globale, la sua folla non è una folla ma una moltitudine di folle, olandesi italiani russi portoricani cinesi tedeschi brasiliani soloveni coreani, nessuno escluso... New York attrae e impaurisce. È una sirena con il diavolo in corpo. Non è certo un caso che Broadway, la strada più lunga del pianeta, si snodi come un serpente da un capo all’altro di Manhattan rompendone gli schemi geometrici. Alla città che non dorme mai, “da guardare non solo con gli occhi ma con il cuore”, Stefano Lucchini, scrittore e giornalista da tempo innamorato della Grande Mela, ha dedicato un affascinante insolito omaggio nato, avrebbe detto il grande Jacques Monod, per caso o per necessità (insomma, per un misterioso destino). Due anni fa, infatti, Lucchini acquista alcuni rullini di foto che immortalano ancora una volta la città più fotografata e filmata della storia. L’autore è anonimo, le immagini (tutte in bianco e nero, dai notevoli esiti) rimandano senza dubbio agli anni 40. Così, dopo un po’, il gioco è fatto. “New York. Born back into the Past” viene pubblicato con 106 foto della collezione di Stefano e Silvia Lucchini e testi di Geminello Alvi e Gianni Riotta (Alinari – 24 Ore). È dolce lo sguardo dello sconosciuto fotoamatore. Non c’è traccia dei ritmi eccitanti che ispirarono a Mondrian il “Broadway Boogie Woogie”. Si sofferma con doveroso orgoglio sugli edifici della Public Library e della Morgan e sulla facciata del Metropolitan, osserva dall’alto la maestosa St. Patrick e dai marciapiedi della 50th Street lo svettante Rockefeller Center o le inconfondibili sagome del Chrysler e dell’Empire, ritrae una Times Square “ombelico del mondo” già pirotecnica ma non troppo, vista gli splendidi spazi della Grand Central, segue gli incomparabili ritmi domenicali dei visitatori di Central Park (una passione dichiarata di Lucchini). È un amarcord struggente che potrà sorprendere chi è legato all’immagine di una New York senza freni e non sa che la sua vera essenza è nutrirsi del “latte incomparabile della meraviglia”. Lo scrisse un vero intenditore. Si chiamava Francis Scott Fitzgerald.
Massimo Di Forti