Non solo volontari: il non profit ha creato 870 mila posti di lavoro, ma va rafforzato (Corriere)

Le istituzioni non profit negli ultimi anni hanno vissuto una forte crescita, in particolare durante la pandemia, ma questa vitalità fatica ancora a trovare una dimensione organizzativa. A dirlo è la ricerca «La solidarietà collettiva come investimento sociale. Insegnamenti e stimoli dalla pandemia di Covid-19», realizzata dal Censis per Intesa Sanpaolo. Nel 51,2% dei casi si è riscontrata la necessità di operare una riorganizzazione dei servizi e delle prestazioni per affrontare una domanda più complessa e vasta. E si sono registrate difficoltà nel garantire standard di sicurezza tali da evitare il contagio (circa il 30% dei casi).

Il terzo settore, evidenzia la ricerca, oltre a rispondere a vecchie e nuove fragilità rappresenta un importante ammortizzatore occupazionale. «C’è la volontà di costruire una struttura più solida, ma c’è ancora molta strada da fare - spiega il segretario generale di Censis, Giorgio De Rita -. Malgrado il numero dei dipendenti impegnati nelle
istituzioni non profit abbia superato le 870 mila unità e sia in crescita, la media è di due dipendenti per struttura. Il resto sono volontari».

La maggior presenza di lavoro dipendente si riscontra nell’ambito dello sviluppo economico e della coesione sociale. Nelle Regioni del Nord c’è una tendenza a razionalizzare le strutture: a un minor incremento degli enti corrisponde una maggiore crescita del tasso di occupazione. Nel Sud, invece, aumenta la frammentazione. «Lo stato del terzo settore, del volontariato, della fiducia verso l’altro registra il grado di maturità e coesione di un Paese e capire come evolve significa avere un indicatore utile per favorire i processi decisionali», sottolinea Stefano Lucchini, chief institutional affairs ed external communication officer di Intesa Sanpaolo.

Valentina Iorio