L’alba di un “Giorno”, conquant’anni fa (Il Sole 24 Ore)

La pubblicità con cui “Il Giorno” si presentò, nel 1956, ai lettori. Il ruolo del giornale a mezzo secolo dalla fondazione verrà ricordato giovedì 20 aprile, dalle 9,30 a Milano (Facoltà di Scienze Politiche, via Conservatorio, 7) in un convegno cui parteciperanno tra gli altri Valerio Castronovo, Stefano Lucchini e molti collaboratori e giornalisti tra cui Angelo Del Boca, Vittorio Emiliani, Paolo Murialdi, Morando Morandini, Pilade Del Buono e Ugo Ronfani.
Il primo numero, sbarcato nelle edicole sabato 21 aprile 1956, apriva con due titoloni: i colloqui sul disarmo tra Eden, Bulganin e Krusciov (“La distensione a Londra”: vignetta col portiere del Claridge che saluta un’ospite russa a pugno chiuso) e il varo del ministero delle Partecipazioni statali. Era Il Giorno, quotidiano fondato da Enrico Mattei: proprio lui, il patron dell’Eni, lo spregiudicato capitano d’industria che si vantava di usare i partiti come taxi, ma anche il protagonista della ricostruzione che voleva dare all’Italia l’indipendenza energetica e una svolta politica. La nuova testata, diretta da Gaetano Baldacci, serviva alle strategie del “cane a sei zampe”, contro la Confindustria e l’anima più conservatrice della Dc. Ma era uno sfida alla stampa “borghese” tradizionale. A quei tempi il “pastone” da Roma si faceva con le veline dei partiti e la cronaca nera coi rapporti della polizia. Il Giorno era un giornale diverso: come il Mondo e l’Espresso nel campo edi settimanali, pubblicava spesso notizie scomode. Grafica innovativa sul modello del Daily Express, inserto a “rotocalco” per sedurre un pubblico popolare, nelle sezioni più “serie” aiutava a capire le grandi trasformazioni sociali. Le inchieste di Giorgio Bocca sull’Italia del boom anni Sessanta, le cronache giudiziarie di Marco Nozza o quelle sportive di Gianni Brera resteranno negli annali del giornalismo. Abbiamo perciò qualche buona ragione per festeggiare questo cinquantesimo compleanno. Oggi i giornalisti frequentano troppo i salotti, reali e catodici, e troppo poco i marciapiedi. Non seguono il consiglio di Zavattini di prendere il tram: dove praltro scoprirebbero che il grosso dei passeggeri snobba le edicole e si accontenta della free press. Diciamola tutta, cari colleghi: siamo ancora ostaggio dei millecinquecento lettori di cui parlava Enzo Forcella (altra grande firma del Giorno). Politici, finanzieri e sondaggisti che ci dipingono un paese magari desiderabile, ma immaginario. E poi ci svegliamo una mattina con la gente che mente agli exit poll e vota chiunque le prometta di tagliare le tasse. Ma cosa importa: nel cazzeggio (pardon, nel gossip) nessuno ci batte. Meritiamo il Pulitzer.

Riccardo Chiaberge